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giovedì 31 ottobre 2019

La magia dell'EQUILIBRIO DINAMICO

l'idea di EQUILIBRIO DINAMICO si presenta letteralmente come un ossimoro forzato, ma è una dimensione precisa, che non gioca per nulla con le parole. E' uno stato della persona che pone in stretto rapporto il movimento corporeo, le memorie corporee, e la mente, le estensioni funzionali di quest'ultima. l'Equilibrio Dinamico non è subordinato necessariamente al governo della mente, ma di sicuro ha origine nella sinergia tra corpo e mente, in un rapporto di scambio e rinforzo tra le funzioni corporee e quelle mentali. Non è necessario ritrovare un punto di partenza, ma ogni punto, ogni momento, può essere una partenza o una ripartenza, dopo un arrivo o una sosta. La mente reattiva si alimenta dall'esercizio fisico continuo ed orientato intorno alla multilateralità, ma ha anche fame di meditazione.

venerdì 31 agosto 2018

La via della cedevolezza per nuovi equilibri, per un reale cambiamento.

Voglio riprendere a scrivere sul mio blog Vettore Lotta. E questa volta senza smettere mai più. E allora mi spetta quasi ripartire da zero, anche se non credo che si possa mai ripartire da zero nella vita. Riparti sempre da dove hai lasciato l'ultima volta, ma puoi cambiare strada, questo lo puoi fare di sicuro. Cambiare strada significa ritrovare un nuovo punto di equilibrio e in questo il judo ti può essere davvero molto utile. I suoi principi, se ben interpretati, se interpretati con cedevolezza (ascolto), sono il giusto percorso per ristabilire, in ogni momento, un nuovo equilibrio, un vero cambiamento. Dove c'è vita c'è equilibrio e dove c'è equilibrio è solo perché c'è cedevolezza, ovvero ascolto. la concatenazione che precede è possibile leggerla e interpretarla anche in senso inverso, non cambia nulla. La via della cedevolezza è la chiave per aprire la porta di ogni equilibrio, è il percorso per raggiungere nuovi equilibri, il cambiamento che desideri e speri. La cedevolezza del judo non è arrendevolezza, né stoicismo relazionale. Non è neanche aggressività atletica. La cedevolezza è ascolto ininterrotto, è l'esercizio di tutti i sensi in una comunione d'intento. Avremo modo di vedere come si può interpretare la cedevolezza, quali forme di movimento si possono acquisire per percorrere la via della cedevolezza.

lunedì 2 maggio 2016

IL VERO MAESTRO E' NELLA TUA DISPONIBILITA' ALL'ASCOLTO.

Il judo è un esercizio per il corpo e per la mente che vince ogni resistenza emotiva e mentale, ma allo stesso tempo ha un grande limite di apprendimento: se non possiedi la giusta empatia è difficile apprendere i principi di judo, la giusta forma tecnica per trovare il tuo equilibrio. In altre parole, l'empatia individuale è il tuo vero maestro e tutto l'apprendimento è subordinato alla tua capacità d'ascolto e di cogliere e valorizzare le tue percezioni. Spesso accade che ti irrigidisci durante l'esercizio della forma, perché sei troppo distratto dalla tua esteriorità emotiva e mentale. E' l'esteriorità il tuo principale avversario. Ti lusinga e ti accarezza, in verità ti distrae dall'apprendimento e dalla giusta esecuzione dell'esercizio. Ti preoccupi troppo di proiettare il tuo avversario, ma anche di evitare il suo attacco, con rigidità mentale e grande impegno muscolare. Al contrario, la via della cedevolezza, l'autentica forma del judo, è ascolto, è percezione dell'interiorità, che va ricercata più della forma fisica. In verità, la forma è unica e la maturità della sua esperienza mette insieme sia la dimensione della forma tecnica che quella dell'ascolto. Spesso parte dall'ascolto per ritornare sull'ascolto, perché e lo stesso ascolto che si sviluppa praticando la tecnica. Ascolta il tuo tecnico di fiducia, ma anche tutti coloro che parlano di te e contro di te, ma non perderti nell'esteriorità della forma. Le risposte importanti vengono solo da te stesso e a te non resta che ascoltarle quando si presentano.

lunedì 17 marzo 2014

SENZA LA FORMA LA TECNICA NON HA EFFICACIA.

E' necessario ripetere il concetto della forma, già in qualche altro post accennato. La Forma è il contrario di formale, che si riferisce ad un aspetto meramente esteriore delle cose. La Forma è in realtà l'essenza delle cose e risponde sempre a un principio preciso di applicazione dell'azione. Nel combattimento corpo a corpo, il principio base generale è che se ti spingono devi tirare, se ti tirano devi spingere. Questo ti serve per prendere la forza dell'avversario e sfruttarla a tuo vantaggio. Su questo principio va costruita l'essenza della tecnica, ovvero la cosiddetta Forma. A questo principio bisogna ricondurre tutte le Forme e tutte le azioni concrete. Ora dirò qualcosa davvero impopolare: se hai delle buone cognizioni teoriche di fisica, di meccanica e di cinetica, allora il tuo combattimento corpo a corpo può progredire senza necessariamente un aiuto dall'alto (grande maestro). E' sufficiente che osservi con attenzione qualche bel filmato su youtube per poter cogliere i movimenti spontanei e inaspettati dei grandi campioni e come gli stessi rispondano ai principi della biomeccanica. Ma per non volare oltre una normale semplicità didattica, è necessario cogliere in ogni tecnica la sua giusta Forma, il suo essenziale principio fisico applicativo. Senza perdersi in inutili dettagli, anche se spesso i dettagli sono le uniche formalità dell'insegnamento di tanti pseudo istruttori. Tutti gli sport e quindi anche quelli di combattimento sono diventati più veloci nell'esecuzione dei gesti e delle tecniche. Per questo, oggi, insegnare tecniche di judo nelle quali bisogna caricarsi l'avversario prima di proiettarlo al suolo, significa essere anacronistici, datati, fuori tempo. Però vige una religiosa osservanza dell'originario programma di insegnamento di secoli fa: il Go Kio. In verità con il Go Kio si fa grande confusione, si confonde la classificazione tecnica, di cui l'unica finalità è tramandare la tradizione tecnica, con la didattica dell'insegnamento, che parte dall'individuo, nel suo spazio e nel suo tempo contemporaneo. Se le tecniche di combattimento corpo a corpo hanno una velocità di esecuzione maggiore, oggi giorno, allora è preferibile insegnare Forme la cui biomeccanica del movimento sia quella della rotazione intorno al proprio asse corporeo, poiché più pertinenti alla maggiore velocità d'azione. E non è vero che questa necessità ci pregiudica l'esecuzione di alcune tecniche che restano ancora di grande efficacia. Al contrario, per esempio, il seoi nage non si esegue solo con il caricamento dell'avversario, oppure in ginocchio. E' possibile vedere spettacolari seoi nage in rotazione intorno al proprio asse, come se fossero degli uki goshi in makikomi, ovvero in avvolgimento intorno al proprio asse. E' chiaro che per eseguire un seoi nage in avvolgimento intorno al proprio asse, bisogna lavorare di più, molto di più, sull'aderenza all'avversario e quindi sull'esecuzione delle prese, oltre che ad un maggior coordinamento motorio considerata appunto la maggior velocità dell'azione.

domenica 16 marzo 2014

SENZA CONTINUITA' OGNI INSEGNAMENTO FINISCE PER PERDERSI ANCOR PRIMA DI ESSERE TRASMESSO ALL'ALLIEVO.

E' incredibile come molti istruttori pensano di trasmette qualcosa senza ripeterla sistematicamente per mesi. La preoccupazione probabilmente è quella di non annoiare i ragazzi, ma non è mica vero che cambiando le tecniche in ogni seduta di allenamento si possa raggiungere un minimo di ritenzione da parte della memoria corporea. Porta solo tanta confusione e soprattutto inibisce la costruzione dei cosiddetti automatismi cognitivi, senza i quali non si è capaci di applicare nulla di quello che si apprende. Il metodo migliore è quello di mantenere una continuità tecnica per mesi e, per ammazzare la noia, cercare ogni volta una diversa applicazione o un diverso contesto situazionale per la ripetizione tecnica.

martedì 11 marzo 2014

UNA BREVE RIFLESSIONE PER ALIMENTARE IL DUBBIO SULL'INSEGNAMENTO DI UN'EFFICACE DIFESA PERSONALE.

Non si contano più le varie scuole di arti marziali, che si cimentano nell'insegnamento delle tecniche di difesa personale. Tutte vantano una specificità unica rispetto alle concorrenti, ma in sostanza si somigliano molto. Il primo dubbio che voglio insinuare è quello che senza una preparazione atletica di base è difficile mettere in pratica qualsiasi tecnica di difesa personale. Pertanto, se incontrate istruttori che vogliono passarvi tecnicismi per ogni situazione, senza impostarvi un programma base di sviluppo della forza resistente, soprattutto per le braccia, allora significa verosimilmente che, sotto il loro insegnamento, non riuscirete ad apprendere nessuna reale tecnica di difesa personale. Spesso assisto a lezioni di difesa personale che inducono nell'allievo un'enorme staticità corporea, unita a un'eccessiva contrazione muscolare, nell'evidente maldestro tentativo di insegnare tecniche delle quali non si è compreso per nulla la forma, ovvero il principio essenziale che le governa e che va applicato ai fini della riproduzione semplice e spontanea delle stesse. La forma della tecnica è centrale nell'acquisizione delle indispensabili abilità di base, perché aiuta l'apprendimento dei principi di azione senza i quali qualsiasi apprendimento diventa un costrutto meccanico, che mal si adegua alla spontaneità del movimento corporeo. La tecnica va modellata sulla spontaneità del movimento corporeo e la spontaneità del movimento corporeo va educata con una serie di esercizi generali improntati al principio generale di multilateralità. In definitiva, anche le tecniche di difesa personale non sfuggono da un propedeutico programma di preparazione atletica e di esercizio motorio multilaterale. Chi attribuisce di per sé una reale completezza di efficacia alle tecniche di difesa personale è lontano da una capacità di trasmissione della conoscenza, ma soprattutto dell'esperienza delle arti marziali.

domenica 23 febbraio 2014

FUORI DA OGNI CONTRADDIZIONE L'APPRENDIMENTO DEL JUDO O JU JITSU.

Chiunque ha frequentato o frequenta una palestra di judo o ju jitsu si è trovato o si trova di fronte un programma di insegnamento predefinito, quello tramandato dalla tradizione giapponese. Nel Judo si chiama Go-Kio ed è costituito da 5 classi di tecniche, detti anche principi, alle quali sono associate i colori delle diverse cinture. Si parte dalla 5^ classe, corrispondente alla cintura gialla, per finire alla 1^ che corrisponde alla cintura marrone. Questa divisione in classi, associata alla progressione dell'acquisizione del grado o colore della cintura, è vecchia e contraddittoria, finisce per ridurre la maturazione dell'allievo all'esecuzione meccanicistica delle tecniche, relegando in secondo piano la vera essenza delle stesse. E' ormai poco attuale, lontana dai bisogni didattici di un insegnamento moderno che deve partire dall'unicità dell'allievo. Senza approfondire il principio pedagogico dell'unicità dell'allievo e della relativa necessità di partire dall'uomo e non dai saperi, mi limiterò ad un approfondimento più generale, legato ad alcune contraddizioni di fondo tra i principi generali di queste discipline sportive e di studio e i loro vecchi programmi di insegnamento. Uno dei principi fondanti del judo è: "TUTTO IL JUDO E' IN UNA TECNICA", che in poche parole significa che ogni singola tecnica contiene l'interezza dei principi dell'intera disciplina sportiva e di studio. Questo principio ci permette di mettere in evidenza la grande contraddizione di dover insegnare secondo uno schema predefinito, di dover imporre all'allievo una sequenza di tecniche a prescindere dalla sua personale facilità d'apprendimento. Un altro principio ormai consolidato appartiene allo studio biomeccanico, come ben rappresentato dal professor Attilio Sacripanti nel suo interessantissimo libro "Biomeccanica degli sport da combattimento". E per rendere essenziale e semplice la comprensione dell'applicazione della forza nelle tecniche del judo o ju jitsu, distinguerei tra l'applicazione della forza nella forma della leva da quella nella forma della coppia di forze. Nella forma della leva, che significa sollevare e capovolgere l'avversario, l'applicazione della forza è energeticamente impegnativa, soprattutto se il braccio della leva è corto, come nel caso del seoi nage. Al contrario, nella forma della coppia di forze, l'applicazione della forza segue principalmente la dimensione vettoriale della stessa e quindi si adegua al movimento dell'avversario, in un movimento circolare intorno al proprio asse longitudinale, guidato e orientato dall'associazione dei segmenti corporei tronco-gamba, braccia-gamba o spalle-braccia, come per esempio nell'ouchi gari. Tutte le tecniche che poggiano sull'applicazione della coppia di forze, rappresentano la modernità del combattimento, meno muscolare e più di movimento. Dalle tecniche nella forma della coppia delle forze mi piace avviare l'insegnamento. Personalmente inserisco le tecniche di sollevamento e di applicazione della forza nella forma della leva dopo i 15 anni d'età e dopo la cintura verde se di età maggiore. Personalmente, per esempio, credo che il seoi nage è una tecnica da insegnare dopo i 15 anni d'età e dopo il grado di cintura verde in caso di età maggiore. In conclusione, la sequenza del Go-Kio non è più attuale, se vogliamo rispettare i principi su esposti, ancor prima del principio pedagogico dell'unicità dell'allievo, che non si può sacrificare per rispettare un'ortodossia tecnica non più necessaria, in un tempo nel quale i principi della disciplina sono ampiamente acquisiti.

venerdì 13 settembre 2013

LA METODOLOGIA DELL'INSEGNAMENTO DELLA TECNICA SPORTIVA.

Si cerca di stabilire un modello ideale di riferimento, ma spesso questo modello è valido solo per un periodo di tempo limitato e successivamente è superato dalla crescita delle stesse capacità dell’atleta. Per questo sul piano metodologico va costruita la potenzialità di assumere varianti, ed essere anche svincolati da modelli troppo rigidi. Questo è possibile se si possiede un buon livello di sviluppo delle capacità motorie, particolarmente quelle coordinative, ma anche applicando la tecnica di base in condizioni estremamente variate. Ciò si può realizzare partendo da posizioni diverse, da livelli di tensione muscolare diversa e così via. All'inizio del lavoro, in generale, si applicano metodi basati sulla parzializzazione e ricomposizione delle tecniche, l’esercizio di gara è studiato fase per fase, prima di essere ricostruito nella sua integralità. In questo caso però gli esercizi, anche se parziali, non devono presentare differenze essenziali con l’esercizio di gara, altrimenti si rischia di indurre delle interferenze, cioè un transfert negativo. Bisogna instillare nell'atleta la capacità di autosservarsi, operazione per operazione, prima su base visiva, poi su base cinestetica, che è tipica di una fase di apprendimento avanzato. Nella proposta di insegnamento bisogna avere una idea della esatta gerarchia dei punti “critici”: in particolare, bisogna conoscere le reazioni dell’allievo di fronte a questi passaggi difficili e quindi saper intervenire sia tecnicamente con forme facilitanti, sia dal punto di vista psicologico, preparandolo alla difficoltà. Il pericolo della parcellizzazione degli esercizi si può evitare mantenendo degli elementi globali che lo ricapitolano quali il ritmo, gli allenamenti ideomotori che ricompongono il movimento sia pure a livello di immagine mentale. Anche l’impiego di forme facilitanti può porre problemi se supera una certa quantità di differenza, o in una certa quantità di ripetizione e può indurre effetti di interferenza. Il problema è la scelta del livello ottimale di facilitazione che, semplificando le difficoltà, sia però, nella sostanza, propedeutico all'esercizio fondamentale.

Qualche raccomandazione essenziale per graduare un buon allenamento e apprendimento motorio tecnico.

Sarò essenziale, come mi piace tanto, e quindi posso riassumere la questione in tre principi: 1) "Prima impara a stare in piedi", che per me significa gradualità assoluta nell'apprendimento, soprattutto nel rispetto dei tempi di ritenzione della nuova abilità acquisita e nelle pause di riposo per fissare l'adattamento atletico motorio. 2) "Se l'equilibrio è buono, il judo è buono". E questo è proprio un principio di vita, quindi possiamo credere che se L'equilibrio, interiore e intellettuale, è buono, la vita è buona. Morale della favola: se coltivo le tecniche per migliorare il mio equilibrio, allo stesso tempo miglioro la mia vita. 3) "Devi avere fiducia nella qualità di ciò che sei, non nella quantità", che significa, in altre parole, "non riempitevi di contenuti, ma cercate in ogni contenuto la sua forma, ossia la sua essenza". Perché nell'essenza delle cose c'è un apprendimento universale che finisce per essere una chiave di lettura universale delle più svariate e complesse situazioni. Insomma, quello che chiamiamo intuito è in realtà la sedimentazione culturale ed esperienziale per tutti coloro che vivono una vita ricca di azione ricerca azione.

lunedì 25 febbraio 2013

I PRINCIPI DELL'ALLENAMENTO.

Nella relazione pedagogica e nell’insegnamento sono identificabili alcuni principi che aumentano in modo determinante l’efficacia dell’effetto dell’attività dell’allenatore: il principio della consapevolezza; il principio dell’evidenza; il principio della accessibilità e della risolvibilità; il principio della sistematica. IL PRINCIPIO DELLA CONSAPEVOLEZZA. Il legame fra volontà e potenza biologica è di grande efficacia se la coscienza delle proprie possibilità e attività è elevata. Uno dei ruoli dell’allenatore è quello di aumentare la coscienza delle sensazioni profonde dell’atleta, accrescerle con la comunicazione verbale delle impressioni che verificano e identificano le impressioni dell’atleta. Le propriocezioni muscolari devono essere sempre più perfette e il divario fra ciò che l’atleta sente e ciò che l’atleta fa deve sempre essere più ridotto. L’automatismo dei movimenti non è una limitazione della coscienza, ma al contrario una fase fondamentale per il controllo cosciente della finalità del progetto motorio di cui l’atleta è protagonista. Per questo l’allenatore deve aumentare l’autocoscienza dell’atleta fornendogli più notizie possibili sulla sua esecuzione. L’autonomia dell’atleta e la sua creatività sono largamente influenzate dal suo livello di conoscenza delle abilità e dal suo livello di percezione delle stesse. IL PRINCIPIO DELL'EVIDENZA. L’evidenza attraverso la dimostrazione è la forma iniziale e fondamentale di comunicazione, in particolare nell’educazione fisica, dove l’immagine del movimento è lo strumento primario e insostituibile di insegnamento (la verbalizzazione è possibile in seguito quando l’abilità sarà padroneggiata in buona misura. Nel dimostrare l’esercizio sarà determinante evidenziare i punti più importanti dell’esecuzione che hanno significatività nella progressione didattica: le cose più importanti all’inizio, le cose via via più specifiche in seguito. Un importante mezzo dell’insegnamento è la verifica oggettiva delle esecuzioni, cioè la visione dell’esecuzione e quindi la ricostruzione, la sovrapponibilità fra percezioni motorie ed effettiva esecuzione. IL PRINCIPIO DELLA ACCESSIBILITA' E DELLA RISOLVIBILITA'. La proposta dei compiti motori che l’allenatore fa al suo atleta ha spesso un successo garantito se è proporzionato alle capacità esecutive di quest’ultimo. La motivazione al movimento è spesso legata alla gratificazione che dà la sua pratica, in quanto realizza un obiettivo e costruisce delle sequenze di movimento armoniche, che vengono spesso composte lentamente con la proposta di situazioni adatte all’individuo che le esegue. Lo stesso vale per l’entità degli sforzi proposti. La proposta di allenamento deve essere accessibile all’allievo, sul piano condizionale, coordinativo, tecnico, tattico. Deve essere anche risolvibile attraverso proposte semplificate che rendano consapevoli della accessibilità alla prestazione determinata. IL PRINCIPIO DELLA SISTEMATICA. Con il principio della sistematica si sottolinea la logica consequenziale nell’organizzazione di tutti i mezzi in corrispondenza dei principi che servono l’allenamento. I punti centrali sono: lo sviluppo di un punto focale nella seduta, nel periodo di breve e brevissima durata. la progressione dell’allenamento in funzione dello stato di allenamento degli atleti. l’individualizzazione. la chiarezza degli obiettivi, mezzi e modi dell’allenamento. Sul piano didattico-metodologico si possono sintetizzare le seguenti regole di prassi: Dal semplice al complesso. Dal facile al difficile. Dal conosciuto al non conosciuto.